Edilizia e Urbanistica

Diritto Penale dell'Edilizia

D.Lgs 380/2001

1. Considerazioni generali

L’art. 44 del D.P.R. 380/01 (Testo Unico dell’Edilizia, d’ora in avanti, per brevità “T.U.E.”) riproduce in piena sovrapposizione, fatti salvi alcuni aggiornamenti linguistici e l’aggiornamento in Euro delle sanzioni, il contenuto dell’art. 20 della Legge 47/85.

La norma in questione configura fattispecie legali di tipo commissivo realizzabili mediante inosservanza di prescrizioni e articolate in tre gruppi cui sono ricollegate sanzioni di diversa entità.

Occorre notare come, fra le citate fattispecie, soltanto quella prevista dalla lett. a) sia oblabile ai sensi degli artt. 162 c.p. e 162 bis, in quanto prevede la sola pena dell’ammenda. Le fattispecie di cui alle successive lett. b) e c), invece, non sono estinguibili tramite oblazione ex artt. 162 e 162bis poiché,  per esse, sono previste le pene congiunte dell’arresto e dell’ammenda.

1.1 Art. 44, lett. a), T.U.E.

La norma punisce con l’ammenda fino ad Euro 10329 chi non osserva le “norme, prescrizioni e modalità esecutive previste [dal medesimo titolo IV del T.U.E.]”. Medesima sanzione è prevista per l’inosservanza di “norme, prescrizioni, modalità esecutive previste dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dal permesso di costruire (vedi par. 2, punto (ii))”. Il titolo abilitativo pone regole di varia natura sulle caratteristiche dell’opera ed il loro mancato rispetto è sanzionato penalmente dalla norma in questione.

1.2 Art. 44, lett. b), T.U.E.

La norma punisce con l’arresto fino a due anni e l’ammenda da 5164 a 51640 Euro, i lavori eseguiti in “assenza o in totale difformità dal permesso di costruire, ovvero la prosecuzione nonostante l’ordine di sospensione”.

Sotto il primo profilo, ad essere penalmente sanzionata è, oltre alla assoluta mancanza del titolo autorizzativo, che non pone problemi interpretativi, l’esecuzione dei lavori in “totale difformità” dallo stesso.

Per integrare la terza ipotesi sanzionata occorre che la prosecuzione dei lavori avvenga nonostante la presenza di un ordine di sospensione formalmente legittimo da parte dell’organo competente. E’ discusso, in giurisprudenza e dottrina, se al riguardo debba ritenersi sufficiente la conoscenza concreta dell’atto, non ritenendosi indispensabile la sua notifica formale.

L’inosservanza dell’ordine di demolizione non rientra nella previsione della lett. b) dell’art. 44 del T.U.E. ma, semmai, in quella dell’art. 31 dello stesso T.U.E., secondo cui “se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di 90 giorni dall’ingiunzione, il bene e l’area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive, sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del Comune. L’area acquisita non può, comunque, essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita” (art. 31, comma 3, T.U.E.).

1.3 Art. 44, lett c), T.U.E.

L’infrazione più grave tra quelle previste dall’articolo in commento, punita con l’arresto fino a due anni e l’ammenda da 15493 a 51645 Euro, è “la lottizzazione abusiva e la costruzione in assenza di permesso, in totale difformità o in variazione essenziale in zone sottoposte a particolari vincoli ambientali”.

In ordine alla prima delle due fattispecie enumerate dalla norma, l’art. 30, comma 1, del T.U.E. definisce la lottizzazione abusiva a scopo edificatorio come quella caratterizzata da “opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione ”; Lo stesso comma stabilisce, inoltre, come sussista lottizzazione anche “quando tale trasformazione venga predisposta attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l’ubicazione o la eventuale previsione di opere di urbanizzazione ed in rapporto ad elementi riferiti agli acquirenti, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio ”.

In ordine alla seconda fattispecie, si rileva come quest’ultima contempli le opere edilizie realizzate, in assenza di Permesso di costruire e quelle in difformità totale o variazione essenziale dal medesimo titolo abilitativo, su terreni gravati da particolari vincoli di tipo ambientale.

2. PROFILI SOGGETTIVI

L’art. 29, commi 1 e 2, del T.U.E. enumera i soggetti responsabili della “conformità delle opere alla disciplina urbanistica, alle previsioni del piano nonché […] a quelle del permesso e alle modalità esecutive stabilite dal medesimo”. Essi sono:

  1. il titolare del permesso di costruire;
  1. il committente dell’opera;
  1. il direttore dei lavori;
  1. il costruttore.

Per quanto riguarda il titolare del permesso di costruire ed il committente dei lavori, va rilevato come il primo sia facilmente identificabile ogni volta che si sia in presenza di un permesso regolarmente rilasciato, stante, viceversa, la sua assenza ogni qual volta i lavori siano stati eseguiti in mancanza di detto titolo; per quanto in ordine al secondo, va osservato come questi non debba necessariamente coincidere con il titolare del permesso, ben potendo le due figure sussistere separatamente ed individualmente.

Per quanto concerne il direttore dei lavori, quest’ultimo è il garante dei lavori stessi e della loro legalità, ma solo per la conformità delle opere a quelle indicate nel permesso e per le modalità esecutive e non anche alla disciplina urbanistica o al piano. Il secondo comma della norma riconosce al direttore dei lavori una particolare esimente nel caso in cui il soggetto in questione si dissoci dalla condotta degli altri soggetti fino a dover rinunziare all’incarico, in caso di costruzione in difformità totale o variazione essenziale. Silenzio risulta, invece, in ordine al momento del rilascio del permesso, al quale il direttore dei lavori risulta estraneo.

Per quanto in ordine alla figura del costruttore, va sottolineato come quest’ultima non venga specificata dalla norma, potendosi ricomprendere nella nozione non solo il titolare dell’impresa, ma anche il soggetto che materialmente costruisce, e cioè il lavoratore. La legge 47/85, infatti, introdusse la nozione del tutto generica di “costruttore” in sostituzione di quella, assai più specifica, di “assuntore dei lavori”, contenuta nella legge 10/77.

Appare opportuno, tuttavia, precisare come, in merito alla posizione del dipendente, l’orientamento giurisprudenziale sia quello di configurare, in capo a quest’ultimo, esclusivamente una responsabilità per colpa qualora quest’ultimo, mancando del tutto il titolo abilitativo alla realizzazione dell’opera, abbia omesso di verificarne la sussistenza.

Secondo un consolidato insegnamento giurisprudenziale, il proprietario dell’area in quanto tale non sarebbe responsabile della costruzione abusiva nel caso in cui sia rimasto estraneo all’esecuzione dell’opera e non sia neppure il committente dei lavori: infatti “non può essergli attribuito un dovere di controllo per impedire qualsiasi realizzazione edilizia ad opera di terzi senza considerare la concreta situazione in cui è stata svolta l’attività incriminata”. Tuttavia, secondo un più recente orientamento, si è sostenuta la responsabilità del proprietario quando questi, consapevole dell’abuso, ometta di intervenire tollerando così la realizzazione dell’illecito.

Rilevante è, inoltre, la figura del progettista (art. 29, comma 3, T.U.E., a mente del quale “Per le opere realizzate dietro presentazione di denuncia di inizio attività, il progettista assume la qualità di persona esercente un servizio di pubblica necessità ai sensi degli articoli 359 e 481 del codice penale. In caso di dichiarazioni non veritiere nella relazione dei cui all’art. 23, comma 1, l’amministrazione ne dà comunicazione al competente ordine professionale per l’irrogazione delle sanzioni disciplinari”), il quale abbia predisposto atti integranti la Denuncia di Inizio Attività (di seguito, per brevità, DIA), prevista dagli artt. 22 e 23 del T.U.E. (vedi Par. 2., punto (ii)). A quest’ultimo soggetto, nella sostanza, viene riconosciuta una posizione pubblicisticamente rilevante, in quanto egli pone in essere una collaborazione con la Pubblica Amministrazione sostituendone il controllo, sempre che si tratti di lavori sottoponibili alla DIA. Egli assume, dunque, la posizione di esercente di un servizio di pubblica necessità ex art. 359 c.p. e gli atti che pone in essere per la procedura DIA possono essere censurati ai sensi dell’art. 481 c.p. (“Falsità ideologica in certificati commessa da persone esercenti un servizio di pubblica necessità – 1. chiunque, nell’esercizio […] di un servizio di pubblica necessità, attesta falsamente, in un certificato, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa da € 51 a € 516. 2. Tali pene si applicano congiuntamente se il fatto è commesso a scopo di lucro.”).

Il tema inerente la certificazione nel settore edilizio è stato oggetto di numerose pronunce da parte della giurisprudenza, a proposito delle planimetrie presentate a sostegno di richieste di autorizzazioni. L’orientamento è stato quello di vedere integrato il reato ex art. 481 c.p. quando tali atti costituiscano delle false dichiarazioni, in quanto essi hanno la funzione di fornire alla P.A. le informazioni circa lo stato dei luoghi. Sempre a tale riguardo, va osservato come la norma menzioni come oggetto della falsità, che deve riguardare esclusivamente dei “fatti”, cosicché a rilevare siano le attestazioni che compaiono nelle planimetrie o nei progetti, ma non nei giudizi o nelle valutazioni.

Altra questione di ordine generale che viene in rilievo nello studio dei reati di falso, in relazione alla materia urbanistica, attiene alla ammissibilità del c.d. falso per induzione – figura costruita sulla combinazione dell’art. 48 c.p. con la norma incriminatrice del falso ideologico in autorizzazioni (art. 480 c.p.) – e alla sua distinzione con il reato di cui all’art. 483 c.p. (Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico).
La giurisprudenza ha definito con chiarezza il discrimen tra falso per induzione e falsità del privato in atto pubblico, affermando che “ricorre l’ipotesi delittuosa di cui all’art. 483 c.p. solo nel caso in cui la falsità nella attestazione sia relativa a fatti che vengono dichiarati al pubblico ufficiale che si limita a riportarli nell’atto come provenienti dal privato; qualora invece i fatti come dichiarati contribuiscono alla formazione di un atto autonomo dello stesso pubblico ufficiale, la falsità su di essi si trasferisce all’intero contenuto dell’atto” (Cass. Pen., Sez. V, 7 luglio 1992, n. 307 in Cass. Pen. 1993, 545).
Con la norma di cui all’art. 483 c.p. e con la fattispecie di falso per induzione, la protezione penale della veridicità delle dichiarazioni rese dal privato alla pubblica amministrazione in materia edilizia è assicurata tutta la gamma di interventi urbanistici sottoposti ad un regime abilitativo, ossia quelle opere che devono essere precedute da un provvedimento di assenso, in questo caso autorizzatorio.
In concreto, tuttavia, poiché non vi sono provvedimenti in materia urbanistica in cui le dichiarazioni del privato siano riportate nell’atto come tali, ricorrerà la fattispecie del falso per induzione in tutti i casi in cui la domanda sia stata accolta ed abbia così comportato l’adozione da parte della P.A. di un provvedimento abilitativo fondato sui falsi presupposti attestati dal richiedente; ricorrerà, invece, la fattispecie di cui all’art. 483 c.p., solo nei casi in cui la domanda del privato non sia stata accolta (o non sia stata esaminata) e le dichiarazioni mendaci siano confluite in uno degli atti protetti.

Si rileva, da ultimo, come, nell’ipotesi in cui gli uffici comunali siano indotti al rilascio di un permesso di costruire mediante la falsa rappresentazione dei luoghi contenuta nel progetto e negli elaborati tecnici presentati dal soggetto richiedente, si configuri il reato di truffa (art. … c.p.), ove possa individuarsi un pregiudizio economico a carico di quest’ultimo per effetto della condotta dell’agente. Se, infatti, è vero che  tale pregiudizio non può essere rappresentato dalla mera lesione di interessi collettivi all’ordinato assetto urbanistico, di cui il comune è portatore, assume, tuttavia, concretezza, da un lato, “il danno discendente dal fraudolento conseguimento del titolo edilizio che si manifesta negli oneri di urbanizzazione – che gravano sull’ente – diversi e maggiori rispetto a quelli derivanti dal progetto assentito e posti a carico del richiedente; dall’altro, quello derivante dall’imporre al comune un dispendio per l’attività di autotutela necessaria a rimuovere il provvedimento oggettivamente illegittimo ed i suoi effetti” (Cass. Pen., Sez. II, 19 giugno 2000, n. 7259, in Cons. Stato 2000, II, 2458).

3. AMBITO OGGETTIVO

L’art. 44 del T.U.E. prevede una serie di concetti, che delineano l’ambito di operatività di alcune delle fattispecie incriminate dalla norma; si definiranno (i) i titoli abilitativi necessari per l’esecuzione di opere edili e i concetti (ii) di “difformità totale” e “parziale” da detti titoli. Su tale distinzione poggia una delle tre fattispecie previste dalla lett. b) della norma (“assenza o totale difformità dal permesso di costruire”), nonché il concetto di “variazione essenziale”.

3.1 Attività edilizia libera, Permesso di costruire e D.I.A.

a) L’art. 6, rubricato “Attività edilizia libera”, enumera le opere realizzabili senza la necessità di ottenere titoli abilitativi di alcun genere. Esse consistono in:

  1. interventi di manutenzione ordinaria;
  1. interventi volti all’eliminazione di barriere architettoniche che non comportino la realizzazione di rampe o di ascensori esterni, ovvero manufatti che alterino la sagoma dell’edificio;
  1. opere temporanee per attività di ricerca nel sottosuolo che abbiano carattere geognostico o siano eseguite in aree esterne al centro abitato.

b) L’art.10 del T.U.E. enumera gli interventi subordinati alla concessione del Permesso di costruire, che con il Testo Unico ha preso il posto della vecchia Concessione edilizia. Tali interventti, secondo il dettato della norma, sono:

  1. gli interventi di nuova costruzione;
  1. gli interventi di ristrutturazione urbanistica;
  1. gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso.

Gli interventi di nuova costruzione, sono quelli che comportano la trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio non rientranti nella definizione di straordinaria manutenzione, risanamento conservativo e restauro e ristrutturazione edilizia, comprensiva della demolizione e successiva fedele ricostruzione. Necessitano ancora del Permesso le opere di straordinaria manutenzione, risanamento conservativo e ristrutturazione edilizia che non risultino disciplinate da piani attuativi contenenti “precise disposizioni” o da strumenti urbanistici generali di cui esse siano “diretta esecuzione”, previsti dall’art 22, comma 3, lett. b) e c), nel qual caso il permesso può, a scelta dell’interessato, essere sostituito da una DIA (vedi punto successivo).

Gli interventi di ristrutturazione urbanistica sono “quelli rivolti a sostituire l’esistente tessuto urbanistico-edilizio con altro diverso, mediante un insieme sistematico di interventi edilizi, anche con la modificazione del disegno dei lotti, degli isolati e della rete stradale” (art. 3 del T.U.E.).

Il terzo gruppo di interventi possono, a scelta dell’interessato, essere realizzati con semplice DIA, ai sensi dell’art. 22, comma 3, lett. a).

Va rilevato, da ultimo, come la disciplina del Permesso di costruire sia destinata ad una progressiva riduzione non appena le Regioni ed i Comuni si doteranno dei piani esecutivi e degli strumenti urbanistici previsti dall’art. 22, comma 3, i quali consentiranno al privato di operare una scelta tra titolo abilitativi e DIA.

c) L’art. 22 del T.U.E. enumera le opere realizzabili con DIA. La sistematica del T.U.E. riconduce tale ordine di interventi ad una valenza residuale: “sono realizzabili [tramite DIA] gli interventi non riconducibili all’elenco di cui all’art. 10 e all’art. 6 che siano conformi alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente” (art. 22, comma 1, T.U.E.).

Sono soggette a DIA le seguenti opere:

  1. interventi di straordinaria manutenzione (comma 3, lett. b), T.U.E.), ossia “le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non comportino modifiche alla destinazione d’uso”;
  1. gli interventi di restauro e risanamento conservativo (comma 3, lett. c), T.U.E.), ossia “gli interventi volti a conservare l’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici formali e strutturali dell’organismo stesso, ne consentano destinazione d’uso con esso compatibile. Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio, l’inserimento degli interventi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell’uso, l’eliminazione degli elementi estranei all’organismo stesso”;
  1. gli interventi di ristrutturazione edilizia (comma 3, lett. d), T.U.E.), ossia “quelli rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possano portare ad un organismo edilizio diverso in tutto o in parte dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione , la modifica e l’inserimento di nuovi elementi od impianti”.

Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono compresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello precedente, fatta salva la sola innovazione necessaria per l’adeguamento della normativa antisismica.

Dopo la definizione sopra riferita, avente carattere residuale, l’art. 22 elenca, ai commi 2 e 3, gli interventi per la realizzazione dei quali è espressamente previsto il ricorso alla DIA, e cioè:

  1. comma 2 – le varianti a permessi di costruire che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d’uso e la categoria edilizia, non alterano la sagoma dell’edificio e non violano le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire. Ai fini dell’attività di vigilanza urbanistica ed edilizia, nonché ai fini del rilascio del certificato di agibilità, tali DIA costituiscono parte integrante del procedimento relativo al permesso di costruzione dell’intervento principale e possono essere presentate prima della dichiarazione di ultimazione dei lavori;
  1. comma 3, lett. a) – gli interventi di ristrutturazione di cui all’art. 10, comma 1, lett. c) (vedi sub b) del presente capitolo);
  1. comma 3, lett. b) – gli interventi di nuova costruzione o di ristrutturazione urbanistica qualora siano disciplinati da piani attuativi comunque denominati, ivi compresi gli accordi negoziali aventi valore di piano attuativo, che contengano precise disposizioni plano-volumetriche tipologiche, formali e costruttive, la cui sussistenza sia stata esplicitamente dichiarata dal competente organo comunale in sede di approvazione degli stessi piani o di ricognizione di quelli vigenti; qualora i piani attuativi risultino approvati anteriormente all’entrata in vigore della legge 21 dicembre 2001, n. 443, il relativo atto di ricognizione deve avvenire entro 30 giorni dalla richiesta degli interessati; in mancanza si prescinde dall’atto di ricognizione, purchè il progetto di costruzione venga accompagnato da apposita relazione tecnica nella quale venga asseverata l’esistenza di piani attuativi con le caratteristiche sopra menzionate;
  1. comma 3, lett. c) – gli interventi di nuova costruzione qualora siano in diretta esecuzione di strumenti urbanistici generali recanti precise disposizioni plano-volumetriche.

Il D.Lgs.vo 27 dicembre 2002, n. 301, ha introdotto all’art. 44 il comma 2-bis, secondo cui anche quando gli interventi edilizi previsti dal comma 3 dell’art. 22 del T.U.E. – sottoposti al regime facoltativo della DIA – risultino applicabili agli stessi le sanzioni penali contenute nel medesimo articolo, quando questi vengano eseguiti in assenza o in totale difformità dalla stessa DIA.

3.2 Difformità totale, difformità parziale e variazione essenziale

(i) Dopo aver chiarito la portata sistematica dei due tipi di titoli abilitativi previsti dal T.U.E. (Permesso di costruire e DIA), occorre esaminare i concetti di “totale difformità” da detti titoli, “difformità parziale” e “variazione essenziale”.

L’art. 31 del T.U.E. stabilisce al riguardo come siano “interventi eseguiti in totale difformità dal permesso di costruire quelli che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, plano-volumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l’esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile”.

Con riguardo agli interventi in difformità totale, definiti dall’art. 31 del T.U.E., si sostiene, in dottrina, come la nozione in parola vada ricavata attraverso il raffronto tra l’organismo edilizio progettato e quello risultante dalle opere; in particolare occorre indicare, quali parametri di tale discordanza, le caratteristiche tipologiche, planovolumetriche e funzionali dell’edificio. La prima espressione rimanda agli elementi architettonici che concorrono a dotare il manufatto di una propria, specifica, connotazione edilizia; le caratteristiche planovolumetriche attengono, invece, allo sviluppo dell’edificio nello spazio e, dunque, includono la forma, l’altezza, la sagoma e la volumetria dello stesso; le caratteristiche di utilizzazione, infine, riguardano la destinazione d’uso della costruzione.

Ove, dal raffronto tra il progetto approvato e l’organismo edilizio realizzato si rilevi una sostanziale difformità con riferimento a tali elementi identificativi, si verserà nell’ipotesi disciplinata dalla norma in esame. 

La Corte di Cassazione ha stabilito come “si ha difformità totale dalla concessione (ora dal Permesso) quando la diversità concerna l’intera opera e sia accompagnata da trasformazioni tipologiche e planovolumetriche di tale entità da costituire uno stravolgimento complessivo dell’originario progetto, non più riferibile all’immobile realizzato” (Cass. Pen., Sez. IV, 30 ottobre 2002, n. 25159, in Cass. Pen. 2004, 1024).

Sul punto si è formato anche autorevole orientamento di merito, a mente del quale “sussiste la totale difformità dalla concessione dell’ intervento edilizio quando l’opera abusiva presenta il duplice requisito della autonoma utilizzabilità ed accessibilità – nel senso di eccedenza volumetrica che non si stemperi nella globalità dell’organismo edilizio, ma conduca alla creazione di una struttura precisamente individuabile e suscettibile di un uso indipendente – e della specifica rilevanza, questa intesa come una consistenza di notevole entità del manufatto illecito” (Tribunale Milano, 27 gennaio 2003, in Foro ambrosiano 2003, 233).

La giurisprudenza ha enucleato i seguenti casi concreti di costruzione in totale difformità dal permesso di costruire:

  1. esecuzione di un corpo autonomo, ad esempio un prefabbricato:

la giurisprudenza ha precisato che anche i prefabbricati devono essere muniti di permesso di costruire, indipendentemente dal sistema di ancoraggio al suolo; infatti “il carattere di precarietà è determinato non già dalla caratteristica di costruzione, bensì dall’uso realmente precario e temporaneo del manufatto, destinato a fini specifici e cronologicamente delimitati, senza che appaia rilevante la circostanza che i manufatti siano stabilmente collegati al suolo e siano facilmente amovibili” (T.A.R. Liguria, Sez. I, 18 settembre 1996, n. 395, in FA, 1997, 1172);

  1. effettuazione di modificazioni con opere interne o esterne tali da comportare un intervento che abbia rilevanza urbanistica, in quanto incidente sull’assetto del territorio, aumentando il cosiddetto carico urbanistico;

è configurabile il reato di costruzione in assenza di concessione, qualora, ottenuto il provvedimento amministrativo per eseguire la ristrutturazione di un immobile, lo si demolisca per ricostruirlo ex novo, poiché lo stabile preesistente viene sostituito con uno completamente nuovo, che non ha riferimento con quello non più esistente” (Cass. Pen., Sez. III, 25 settembre 2000, n. 3885, in Riv. Pen. 2001, 465);

  1. nel mutamento di destinazione e d’uso di un immobile preesistente, che va equiparato al fatto della realizzazione di una costruzione edilizia in assenza o in totale difformità dal permesso di costruire allorché non sia puramente funzionale, ma si realizzi attraverso opere strutturali implicanti una totale modificazione rispetto al preesistente e al previsto; tale mutamento può essere, pertanto, materiale, attraverso, cioè, opere edili realizzate sull’immobile preesistente, ovvero soltanto funzionale, con una semplice modificazione d’utilizzo, che non comporti trasformazioni materiali; in questo secondo caso:

il cambio di destinazione d’uso meramente funzionale, ossia senza necessità di opere per rendere il fabbricato strutturalmente idoneo a un uso diverso da quello per cui fu realizzato, costituisce di per sé attività libera, non soggetta neppure ad autorizzazione gratuita(Cons. Stato, Sez. V, 10 marzo 1999, n. 231, in AUE, 2000, 343).

(ii) Dalla difformità totale vanno distinti gli interventi eseguiti in difformità parziale dal titolo abilitativo. L’art. 34 del T.U.E. non definisce tali interventi, cosicché si ritiene che debbano farsi rientrare in tale categoria tutti quegli interventi – comunque difformi dal progetto originario – che non siano ricompresi nella sopra riportata definizione di difformità totale. Risulterà, pertanto, integrata la fattispecie ex art. 34 T.U.E., non punibile ai sensi dell’art. 44 lett. b) e c), quando “le modifiche non siano sostanziali, circoscritte a particolari non incidenti sul complesso dell’opera, oppure non rilevanti sulla superficie o volumetria, oppure non alteranti la funzione o la natura del manufatto”.

Si ha difformità parziale, a mente di recente giurisprudenza amministrativa, quando “un determinato intervento costruttivo sia realizzato secondo modalità diverse da quelle consacrate a livello progettuale, sia pur nel sostanziale rispetto della tipologia edilizia adottata” (T.A.R. Puglia, Sez. III, 24 novembre 2004, n. 8257, in Foro Amm. TAR 2004, 3482). Precedentemente, il Consiglio di Stato aveva precisato come, in tema di difformità dal titolo abilitativo, “la parziale difformità [sia] una categoria residuale nella quale non rientrano, da un lato, i lavori effettuati senza concessione, in totale difformità o in variazione essenziale, dall’altro quelli qualificati in corso d’opera, e che in effetti può trovare spazio in caso di lavori murari non previsti, una volta semplicemente raffrontati il progetto approvato e le opere effettivamente realizzate” (Consiglio di Stato, Sez. V, 22 novembre 2002, n. 5926, in Riv. Giur. polizia 2002, 212).

In tema di difformità parziale dal progetto assentito delle opere realizzate, si rileva, alla luce di quanto sopra, come non costituisca contravvenzione punibile ex art. 44 T.U.E. la realizzazione di tramezzature interne in maniera tale che la disposizione degli ambienti risulti differente da quella prevista nel progetto; ciò sulla base delle seguenti considerazioni:

  1. la fattispecie in esame non rientra nella previsione dell’art. 44, lettera a), in quanto il tipo di intervento in questione può essere ricondotto alla categoria del restauro conservativo che, ove non comporti mutamento di sagoma o dei prospetti dell’edificio ovvero mutamento di destinazione d’uso, è realizzabile semplicemente mediante presentazione di D.I.A.;
  1. la fattispecie, nondimeno, non rientra nemmeno nella previsione della lettera b) della norma in quanto quest’ultima punisce la realizzazione in totale difformità o assenza di permesso di costruire ovvero di prosecuzione dei lavori nonostante l’ordine di sospensione degli stessi;
  1. non rientra, da ultimo, nella previsione della lettera c) a meno che le opere non vengano realizzate su immobile sottoposto ad alcuno dei vincoli elencati dalla norma stessa.

L’art. 26 della L. 47/85, tutt’ora vigente, stabilisce come “Non sono soggette a concessione né ad autorizzazione le opere interne alle costruzioni che non siano in contrasto con gli strumenti urbanistici adottati o approvati e con i regolamenti edilizi vigenti, non comportino modifiche della sagoma, della costruzione, dei prospetti né aumento delle superfici utili e del numero delle unità immobiliari, non modifichino la destinazione d’uso delle costruzioni e delle singole unità immobiliari, non rechino pregiudizio alla statica dell’immobile e, per quanto riguarda gli immobili compresi nelle zone indicate alla lettera A dell’articolo 2 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16 aprile 1968, rispettino le originarie caratteristiche costruttive. Ai fini dell’applicazione del presente articolo non è considerato aumento delle superfici utili l’eliminazione o lo spostamento di pareti interne o di parti di esse (1).
Nei casi di cui al comma precedente, contestualmente all’inizio dei lavori, il proprietario dell’unità immobiliare deve presentare al sindaco una relazione, a firma di un professionista abilitato alla progettazione, che asseveri le opere da compiersi e il rispetto delle norme di sicurezza e delle norme igienico-sanitarie vigenti.
Le sanzioni di cui al precedente articolo 10, ridotte di un terzo, si applicano anche nel caso di mancata presentazione della relazione di cui al precedente comma (2).
Le disposizioni di cui ai commi precedenti non si applicano nel caso di immobili vincolati ai sensi delle leggi 1° giugno 1939, n. 1089, e 29 giugno 1939, n. 1497, e successive modificazioni ed integrazioni.
Gli spazi di cui all’articolo 18 della legge 6 agosto 1967, n. 765, costituiscono pertinenze delle costruzioni, ai sensi e per gli effetti degli articoli 817, 818 e 819 del codice civile

La giurisprudenza ha chiarito come “le opere interne alle singole unità immobiliari che non comportino modifiche della sagoma e dei prospetti e non rechino pregiudizio alla statica dell’immobile, anche se aumentano la superficie utile o il numero delle unità immobiliari, sono soggette soltanto all’obbligo di denuncia di inizio attività” (Cass. Pen., Sez. III, 23 marzo 2000, n.6189, in Cass. Pen. 2001, 1907). In senso contrario, si è sostenuto come “Costituisce non mera opera interna ex art. 26 l. 28 febbraio 1985 n. 47, ma realizzazione di un vero e proprio organismo edilizio “ex novo” l’intervento consistente nella demolizione e completa ricostruzione delle tramezzature di un piano sottotetto, in modo da renderlo abitabile, indipendente dall’abitazione sottostante ed atto ad un uso diverso da quello per cui l’edificio fu a suo tempo assentito, all’uopo occorrendo la concessione edilizia” (Consiglio di Stato, Sez. V, 24 febbraio 1999, n.195, in Foro Amm. 1999, 370).

(iii) La terza categoria è la variazione essenziale, che la lett. c) dell’art. 44 parifica all’assenza o alla realizzazione in totale difformità su terreno sottoposto ai vincoli indicati dalla stessa norma. L’art. 32, comma 1, del T.U.E. chiarisce la portata della nozione in discorso, stabilendo che “fermo  restando quanto disposto dal comma 1 dell’art. 31, le Regioni stabiliscono quali siano le variazioni essenziali al progetto già approvato, tenuto conto che l’essenzialità ricorre esclusivamente quando si verifica una o più delle seguenti condizioni:

  1. mutamento della destinazione d’uso che implichi variazione degli standards previsti dal DM 2 aprile 1968 […];
  1. aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio da valutare in relazione al progetto approvato;
  1. modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi del progetto approvato ovvero della localizzazione dell’edificio sull’area di pertinenza;
  1. mutamento delle caratteristiche dell’intervento edilizio assentito;
  1. violazione delle norme vigenti in materia di edilizia antisismica, quando non attenga a fatti procedurali.

La norma al comma 2, specifica che non possono “ritenersi comunque variazioni essenziali quelle che incidono sulla entità delle cubature accessorie, sui volumi tecnici e sulla distribuzione interna delle singole unità abitative”. La norma, al comma 3, opera un raccordo a quanto sopra riportato a proposito della lett. c) dell’art. 44, specificando che, qualora gli interventi summenzionati vengano realizzati su immobili sottoposti a vincolo storico, artistico, architettonico, archeologico, paesistico ed ambientale, nonché su immobili ricadenti sui parchi o in aree protette nazionali e regionali, la variazione essenziale è parificata alla difformità totale dal permesso, escludendosi, con ciò, che essa possa costituire un tertium genus rispetto alla difformità totale ed a quella parziale.

Si è rilevato come rientri nel novero delle “opere edilizie realizzate in variazione essenziale dal titolo abilitativo, la sopraelevazione del tetto di un precedente prefabbricato, in quanto tale vicenda implica l’aumento della cubatura e la modificazione della sagoma dell’edificio stesso e, come, non è assimilabile alla ristrutturazione edilizia, che, invece, presuppone solo la demolizione e successiva fedele ricostruzione di quest’ultimo” (Cons. Stato, Sez. V, 27 settembre 1999, n. 1183, in Foro Amm. 1999, 1763). Non costituiscono, invece, variazioni essenziali “né quelle che incidono sulla entità delle cubature accessorie, sui volumi tecnici e sulla distribuzione interna delle unità abitative, né quelle inerenti a parcheggi sotterranei (le cui strutture rappresentano, per la collettività, uno sgravio e non già un carico urbanistico)” (Cons. Stato, Sez. V, 5 giugno 1997, n. 591, in Foro Amm. 1997, 1650).

Non integrano la fattispecie, infine, nemmeno le opere edilizie connotate da mutamento di destinazione d’uso concretata “in una violazione dell’indice di fabbricabilità” (T.A.R. Calabria, Sez. II, 10 dicembre 2002, n. 3207, in Foro Amm. TAR 2002, f. 12); la variazione essenziale sussiste, invece, quando vi sia “una diversa localizzazione dell’edificio sull’area di pertinenza” (T.A.R. Sicilia, Sez. I, 4 marzo 2003, n. 407, in Foro Amm. TAR 2003, 1096; conforme, sul punto, anche T.A.R. Campania, Sez. V, 28 marzo 2002, n. 1697, in Foro Amm. TAR 2002, 1031,).

4. LE NORME SULL’ESERCIZIO DELL’AZIONE PENALE

L’art. 45 del T.U.E., nel recare “Norme relative all’azione penale”, fa riferimento al rilascio in sanatoria del Permesso di costruire, c.d. “Accertamento di conformità”, previsto dall’art. 36 dello stesso T.U.E.. Non ritenendo necessario dilungarsi sulle formalità e le procedure necessarie per il rilascio in sanatoria del titolo abilitativo, si sottolinea come, ai sensi del primo comma dell’art. 45, la semplice presentazione della domanda volta ad ottenere detta sanatoria sia sufficiente ad arrestare obbligatoriamente il corso dell’azione penale (“l’azione penale relativa alle violazioni edilizie rimane sospesa”). Pur nel silenzio della legge, pare implicito che detta sospensione, pur automatica, debba essere fissata da un provvedimento di un giudice penale, ove si pervenga alla sua cognizione. 

Un profilo di attenzione riguarda la domanda c.d. tardiva, e cioè quella che non rispetta i termini previsti dall’art. 36; in ordine a tale circostanza, il prevalente indirizzo giurisprudenziale è quello di ritenere presupposto inderogabile dell’effetto sospensivo la tempestività della proposizione della domanda.

Per quanto in ordine al momento finale della sospensione di cui sopra, l’art. 45 ne individua il momento con “l’esaurimento dei procedimenti amministrativi di sanatoria”.

La semplicità della disposizione è soltanto apparente.

La questione maggiormente dibattuta, infatti, riguarda la durata della sospensione, cioè se questa si protragga anche per l’eventuale successivo svilupparsi della fase giurisdizionale sul diniego.

Alcune voci hanno optato per la tesi secondo cui si intende sospeso il processo fintantoché non si siano esaurite le fasi tutte con una decisione inoppugnabile; questo orientamento tiene in considerazione il dato letterale del secondo comma della norma.

Si è affermata, invece, la tesi contraria, che ha ricevuto anche l’avallo della Corte Costituzionale, secondo la quale il ragionamento va articolato sull’equilibrio tra danno per la sospensione al processo penale ed interesse ad acquisire un atto amministrativo estintivo del reato, che si romperebbe, nel caso di rigetto della domanda di sanatoria e conseguente ricorso, dilatando a dismisura i tempi della vicenda giudiziaria. Non sarebbe pertanto prevista, secondo tale orientamento, la sospensione obbligatoria del processo fino alla completa definizione giurisdizionale del procedimento amministrativo, ferma restando la facoltà di sospendere del giudice penale ex art. 479 c.p.p., ma soltanto fino alla pronuncia relativa alla domanda di sanatoria.

Per quanto in ordine all’ambito oggettivo della sospensione, va sottolineato come, andando la prescrizione in commento ad incidere sull’esercizio dell’azione penale, nessuna sospensione potrà aver luogo in fase di indagini preliminari. Se, pertanto, la domanda di sanatoria non produce la sospensione durante le indagini preliminari, diventano ammissibili i provvedimenti cautelari reali quali sequestri probatori (art. 321 e ss. c.p.p.).

La concessione del titolo abilitativo in sanatoria produce l’effetto estintivo dei reati contravvenzionali previsti dalla normativa vigente. Questa formula è stata interpretata in senso particolarmente rigoroso, sì da escludere dal beneficio estintivo i reati posti a tutela di beni giuridici diversi e quindi estranei alla sanatoria.

Occorre rilevare come l’art. 37, comma 6, T.U.E. limita l’applicabilità delle fattispecie incriminatici ex art. 44 bis T.U.E. a quelle riguardanti il permesso di costruire e la SuperDIA, stabilendo come “la mancata denuncia di inizio dell’attività non comporta l’applicazione delle sanzioni penali previste dall’art. 44”.

5. IL CONDONO (L. 326/03)

5.1 Disciplina ed efficacia esimente

Il condono edilizio è stato riprodotto per la terza volta nel nostro ordinamento con una norma, l’art. 32 del D.L. 30 settembre 2003, n. 274, convertito nella L. 24 novembre 2003, n. 326 con alcune lievi modifiche.

Sotto il profilo della responsabilità penale derivante dalla realizzazione di abusi edilizi, la citata norma prevede che “la presentazione nei termini della domanda di definizione dell’illecito edilizio, l’oblazione interamente corrisposta nonché il decorso di trentasei mesi dalla data da cui risulta il suddetto pagamento, produce gli effetti di cui all’art. 38, comma 2, della legge 28 febbraio 1985, n. 47. Trascorso il suddetto periodo di trentasei mesi si prescrive il diritto al conguaglio o al rimborso spettante” (art. 32, comma 36, L. 326/03).

Il limite temporale entro il quale la suddetta domanda deve essere stata presentata è fissato dal comma 32 del medesimo art. 32 della legge in esame; quest’ultimo stabilisce che “le domande relative alla definizione dell’illecito edilizio, con l’attestazione del pagamento dell’oblazione e dell’anticipazione degli oneri concessori, è presentata al comune competente, a pena di decadenza, entro il 31 marzo 2004, unitamente alla dichiarazione di cui al modello allegato e alla documentazione di cui al comma 35”. E’, altresì, previsto dal comma 25, che le opere abusive, per le quali si richiede il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria, “risultino ultimate entro il 31 marzo 2003 e […] non abbiano comportato ampliamento del manufatto superiore al 30 per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento superiore a 750 mc.”.

Non ogni tipologia di abuso risulta, tuttavia, sanabile mediante condono. Il comma 27 dell’art. 32 del D.L. 269/03, oltre a richiamare espressamente gli artt. 32 e 33 della L. 47/85, stabilisce come “le opere abusive non sono comunque suscettibili di sanatoria, qualora:

  1. siano state eseguite dal proprietario o avente causa condannato con sentenza definitiva, per i delitti di cui all’art. 416 bis, 648 bis e 648 ter del Codice penale o da terzi per suo conto;
  1. non sia possibile effettuare interventi per l’adeguamento antisismico, rispetto alle categorie previste per i comuni secondo quanto indicato dalla Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri 20 marzo 2003, n. 3274, pubblicata nella G.U.R.I. 8 amggio 2003, n.105;
  1. non sia data la disponibilità di concessione onerosa all’area di proprietà della Stato o degli enti pubblici territoriali, con le modalità e condizioni di cui all’art. 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 e del presente provvedimento;
  1. siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela di interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima dell’esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità dal titolo abilitativi edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici;
  1. siano stati realizzate su immobili dichiarati monumento nazionale con provvedimenti aventi forza di legge o dichiarati di interesse particolarmente importante ai sensi degli articoli 6 e 7 del D. Lgs.vo 29 ottobre 1999, n. 490;
  1. fermo restando quanto previsto dalla legge 21 novembre 2000, n. 353 e indipendentemente dall’approvazione del piano regionale di cui al comma 1 dell’articolo 3 della citata legge 353 del 2000, il comune subordina il rilascio del titolo abilitativi edilizio in sanatoria alla verifica che le opere non insistano su aree boscate o su pascolo i cui soprassuoli siano stati percorsi dal fuoco. Agli effetti dell’esclusione dalla sanatoria è sufficiente l’acquisizione di elementi di prova, desumibili anche dagli atti e dai registri del Ministero dell’interno, che le aree interessate dall’abuso edilizio siano state, nell’ultimo decennio, percorse da uno o più incendi boschivi;
  1. siano state realizzate nei porti e nelle aree, appartenenti al demanio marittimo, di preminente interesse nazionale in relazione agli interessi della sicurezza dello Stato ed alle esigenze della navigazione marittima quali identificate ai sensi del secondo comma dell’articolo 59 del D.p.R. 24 luglio 1977, n. 616.

5.2 La sospensione del procedimento penale in esito all’ iter amministrativo

Il citato comma 25 dell’art. 32, L. 326/03, ha stabilito come “le disposizioni di cui ai capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47 e successive modificazioni ed integrazioni, […] si applicano alle opere abusive che risultino ultimate entro il 31 marzo 2003”.

L’art. 44 della L. 47/85, tuttora in vigore in quanto richiamato dalla suddetta norma, stabilisce come siano “[…] sospesi i procedimenti amministrativi e giurisdizionali e la loro esecuzione, quelli penali nonché quelli connessi all’applicazione dell’art. 15 della L. 6 agosto 1967, n. 765 attinenti al presente capo”.

Tralasciando gli aspetti relativi a procedimenti extrapenali, che esulano dalla trattazione del presente scritto, si rileva come, dalla data di entrata in vigore della L. 47/85, siano rimasti temporaneamente sospesi tutti i procedimenti penali relativi ad illeciti edilizi. Dalla decorrenza il termine del 31 marzo 2003, tuttavia, affinché operi la suddetta sospensione, è necessario, a mente dell’art. 38, L. 47/85, produrre documentazione idonea a dimostrare la tempestività della presentazione della domanda di condono, oltre all’attestazione del versamento della oblazione e, a partire dall’entrata in vigore del D.L. 468/94, degli oneri concessori.

La presentazione della domanda, dunque, fa conseguire all’interessato l’effetto di sospendere il procedimento penale sino alla definizione del procedimento amministrativo in corso. Conseguentemente, la sospensione opera ex lege e si applica a tutti i procedimenti penali in corso, in ogni fase, stato e grado degli stessi.

Esaurito il procedimento amministrativo di condono, l’oblazione interamente corrisposta, unitamente al decorso di trentasei mesi dalla data del pagamento, farà conseguire all’interessato, ai sensi del citato art. 36, comma 32, L. 326/03, anche l’estinzione dei reati edilizi per effetto della sopravvenuta causa di non punibilità rappresentata dal condono.

5.3 Nozione di ultimazione ai fini del rilascio del condono

Ai fini del rilascio del condono edilizio ex D.L. 326/03 occorre che gli interventi edilizi abusivi siano stati “ultimati” entro la data del 31 marzo 2003.

Occorre tuttavia precisare come per ultimazione dei lavori la disciplina vigente non intenda l’integrale completamento dell’immobile alla data sopra indicata bensì l’ultimazione del cosi detto “rustico”; trova piena applicazione, in ragione del rinvio normativo che ad esso opera il D.L. 30 settembre 2003, n. 269, l’art. 31, l. 28 febbraio 1985, n. 47 a mente del quale “si intendono ultimati gli edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura”. L’espressione “a rustico” definisce “il complesso dei lavori riguardanti, oltre alla muratura portante o all’intelaiatura in cemento armato o in travi di acciaio, anche le tamponature perimetrali, necessarie perché possano essere individuati il volume e la cubatura dell’edificio” (Cass., sez. III, 13-05-1999, in Riv. giur. edilizia, 1999, I, 1419).

Altre pronunzie, anche di legittimità amministrativa, hanno definito il concetto di “rustico”, con riferimento a particolari situazioni: 

Anche nel caso di opere non destinate alla residenza, per le quali la nozione di «ultimazione», ai fini dell’operatività delle norme sul c.d. «condono edilizio» coincide, secondo l’espressa previsione dell’art. 31, 2º comma, ultima parte, l. 28 febbraio 1985 n. 47, con quella di «completamento funzionale», non può escludersi che debba trovare applicazione anche il criterio «strutturale» dettato per le opere residenziali dallo stesso art. 31 (criterio secondo il quale l’ultimazione richiede che sia stato eseguito il rustico e sia stata completata la copertura), quando – come si verifica nel caso di un manufatto destinato a deposito – l’opera edilizia necessita comunque di copertura e di muri perimetrali per assolvere alla sua destinazione funzionale” (Cass., sez. III, 20-05-1999); 

La realizzazione al rustico del manufatto comporta che la copertura deve essere completata e i muri perimetrali debbono essere tamponati, mentre non costituisce completamento della costruzione al rustico la semplice realizzazione delle strutture portanti in cemento armato, senza le tamponature laterali” (Cass., sez. III, 17-03-1999); “per immobile completato al «rustico» deve intendersi quello mancante solo delle finiture, ma necessariamente comprensivo delle tamponature esterne, che realizzino in concreto i volumi rendendoli individuabili ed esattamente calcolabili, indipendentemente dal fatto che siano o debbano essere eseguite in muratura o con pannelli prefabbricati”(C. Stato, sez. V, 02-10-2000, n. 5211); 

Ai fini dell’ottenimento della concessione edilizia in sanatoria, la nozione di «ultimazione» della struttura edilizia entro il 31 dicembre 1993 prevista dall’art. 31, 2º comma, l. 28 febbraio 1985 n. 47, non richiede la tamponatura perimetrale ove si tratti di un rustico in cemento armato completo di copertura, non richiedendo detta norma l’abitabilità e l’agibilità del manufatto” (T.A.R. Lazio, sez. II, 09-02-2000, n. 869).

6. REATO AMBIENTALE, T.U. “URBANI”, MODIFICHE NORMATIVE

Una delle novità più salienti introdotte con il T.U.E., ed ancor prima con la legge 443/01, è rappresentata dalla possibilità di far ricorso alla D.I.A. anche quando l’intervento si riferisca ad un immobile vincolato sotto il profilo storico – artistico (legge 1089/39, ora D.Lgs.vo 490/99) ovvero ricada nell’ambito di aree sottoposte a vincolo paesaggistico (in forza di Decreti ministeriali emessi in forza della legge 1497/39 ovvero dell’art. 146 del D.Lgs.vo 490/99).

Lo stesso principio vale per le aree sottoposte alla disciplina dei Piani Paesaggistici, ove questi consentano, entro certi limiti, l’edificazione in zone vincolate.

Ovviamente anche il Permesso di costruire può essere rilasciato in presenza dei vincoli suddetti purchè, come per la D.I.A., intervenga preventivamente il nulla osta dell’ente preposto alla tutela del bene o dell’area vincolata.

Si rileva, peraltro, come il rilascio di quest’ultimo in relazione ai vincoli di interesse storico ed artistico sia sottoposto ad un regime procedimentale piuttosto scarno, dovendosi, in tutto, preventivamente pronunciare la Sovrintendenza.

Per quanto riguarda le autorizzazioni su beni vincolati sotto il profilo paesaggistico, invece, la procedura è più complessa (prevista dall’art. 151, D.Lgs.vo 490/99), in quanto si prevede un doppio passaggio costituito da una preventiva pronuncia regionale – ovvero comunale nei casi in cui le Regioni, con apposita legge, abbiano delegato tale incombenza ai Comuni – nonché, ove il parere sia stato favorevole, la sua trasmissione al  Ministero competente, che, per mano della Sovrintendenza, ha il potere di annullarlo entro sessanta giorni successivi al ricevimento degli atti. Decorso tale termine, la pronuncia, regionale o comunale, diviene definitiva.

Tale procedimento ha subito una radicale trasformazione in seguito all’entrata in vigore del D.Lgs.vo 16 gennaio 2004, denominato “Codice dei Beni culturali o del Paesaggio” o, più semplicemente, “Codice Urbani”.

Per effetto di tale corpus normativo, mentre per i vincoli di natura storico – artistica il regime è rimasto pressoché immutato, per quel che concerne le aree sottoposte a disposizioni vincolistiche sotto il profilo paesaggistico, laddove suscettibili di edificazione, sono sottoposte ad un regime procedurale semplificato, secondo il quale il Ministero e la Sovrintendenza sono spogliati del potere di annullamento e sono tenuti a fornire il proprio parere “in prima battuta”; tale parere ha efficacia necessaria ma non vincolante per le Regioni o per i Comuni. L’art. 146, comma 12, del decreto, precisa che “presso ogni Comune è istituito un elenco in cui è indicata la data del rilascio di ciascuna autorizzazione paesaggistica, con la precisazione se essa sia stata rilasciata in difformità dal parere della Sovrintendenza”.

7. SOSPENSIONE DEL CORSO DELLA PRESCRIZIONE IN MATERIA DI REATI EDILIZI 

7.1 momento iniziale di decorrenza della prescrizione

Le contravvenzioni edilizie sono “reati permanenti” caratterizzati dal protrarsi dell’offesa al bene giuridico tutelato. 

Per tale tipologia di reati lo “stato di consumazione” permane sino al momento della cessazione della condotta (ex pluris MANZINI, “Trattato di diritto penale italiano”, vol. I, p. 704, Torino 1981) e proprio a tale momento che il codice ancora la decorrenza del termine di prescrizione. 

La permanenza cessa con l’ultimazione dei lavori, o con la sentenza di primo grado o con il provvedimento di sequestro che sottrae all’imputato la disponibilità di fatto e di diritto dell’immobile. La costruzione può dirsi completata solo ove siano stati terminati i lavori relativi a tutte le parti dell’edificio posto che, in tema di reato di costruzione abusiva, la permanenza cessa, tra l’altro, con la realizzazione totale dell’opera in ogni sua parte (C., Sez. III, 24.8.1993). L’art. 31, secondo comma, della l. n. 47/85, stabilisce che devono intendersi “ultimati gli edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura, ovvero, quanto alle opere interne agli edifici già esistenti e a quelle non destinate alla residenza, quando esse siano state completate funzionalmente”. 

Sulla interruzione della condotta illecita e, conseguentemente, sulla cessazione dello stato antigiuridico, consolidato orientamento esegetico ha rilevato come “la permanenza del reato di costruzione abusiva cessa […] con la totale sospensione dei lavori, […] dovuta a provvedimento autoritativo (sequestro) […]” (Cass. Pen., Sez. III, 12 giugno 1997, n. 6906 in Riv. giur. Edilizia, 1998, I, 767; Cass. Pen., Sez. III, 16 marzo 1994 in Riv. Pen., 1996, 335; Cass. Pen., Sez. VI, 1 settembre 1992 in Giust. Pen., 1993, II, 409).

7.2 sospensione del corso della prescrizione a seguito del d. l. n. 269/03 , conv. in legge 326/03

L’art. 159, comma 1, c.p. stabilisce che il corso della prescrizione rimane sospeso quando è imposto da una particolare disposizione di legge.

Il d. l. n. 269/03, all’art. 32, richiama in molte sue parti la legge n. 47 del 1985 che ha regolato il primo condono; l’art. 44 della medesima legge prevedeva che “dall’entrata in vigore della legge e sino alla scadenza dei termini per la presentazione della domanda di definizione dell’illecito edilizio, i procedimenti penali sono sospesi.

Anche la  nuova normativa, in forza del richiamato art. 44, prevede che il procedimento penale, e il corso della prescrizione, rimanga sospeso per un periodo di 403 giorni; tale periodo risulta dal computo tra il 2.10.03 – data di entrata in vigore del d. l. n. 269/03 – al 10.12.04 termine ultimo per la  presentazione della domanda. 

In tema di art. 44, l. 28.2.1985, n. 47 – c.d. pregiudiziale amministrativa – , è stato affermato come la sospensione deve esser applicata all’intero procedimento, qualora il Giudice di merito, riconoscendo il vincolo della continuazione, abbia proceduto per varie ipotesi di reato, delle quali alcune soltanto siano divenute estinguibili ex  art. 38 della stessa legge (Cass. Pen., Sez. III, 18.2.1986, Cavallotti, in Cass. Pen., 1987, 635; Cass. Pen., Sez. Un., 9.6.1995, Luongo, in Cass..Pen., 1996, 774; Cass. Pen., Sez. III, 26.1.1999, in Cass..Pen., 1999, 3555).

Il corso della prescrizione sospesa riprende dal giorno in cui è venuta meno la causa che ha dato luogo alla sospensione. Ove non sia stata presentata domanda di condono, la prescrizione decorre nuovamente dal giorno successivo alla scadenza del termine per presentare l’istanza medesima, ovverosia l’11.12.04. Tuttavia l’art. 44, terzo comma, l. n.47/85, stabilisce che “decorso il termine del 30 settembre 1986 [rectius 10.12.04] senza che sia stata presentata domanda di concessione o autorizzazione in sanatoria, la sospensione di cui al precedente primo comma perde efficacia”. 

7.3 Sospensione del corso della prescrizione a seguito della presentazione della domanda di condono

7.3.1 

L’art. 38 della legge n. 47 del 1985, come richiamato dal d. l. n. 269/03, art. 32, co. 36, prevede che la presentazione entro il termine perentorio – 10.12.04 – della domanda – accompagnata dalla attestazione del versamento della somma dell’oblazione o della prima rata – sospende il procedimento penale. 

Il corso della prescrizione, in questo caso, riprende dalla data in cui perviene al giudice penale notizia in ordine alla valutazione effettuata dalla P.A. circa la sussistenza dei requisiti per la declaratoria di estinzione dei reati per oblazione; ovvero, in materia paesaggistica, dal giorno in cui viene prodotto in giudizio il rilascio della concessione dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria per la violazione del vincolo; o, in ultima  ipotesi, una volta decorsi due anni dalla data della presentazione della domanda di condono.

7.3.2 

Ove la Pubblica Amministrazione non si pronunci in merito alla domanda di condono,  l’art. 32, comma 37, del d.l. n. 269/03, prevede che il decorso del termine di 24 mesi dalla presentazione della domanda senza che vi sia stato un provvedimento negativo da parte della P.A. equivale comunque a titolo abilitativo edilizio (silenzio-assenzo). 

7.3.3 

Tornando al tema della sospensione si rileva come a seguito della presentazione della domanda di condono, il procedimento penale, può restare al massimo sospeso per un periodo di 2 anni; a tale termine si somma quello di 403 giorni (primo periodo di sospensione previsto dall’art. 44 della l. n. 47 del 1985, richiamato dalla normativa del condono del 2003).     .     

Tale sospensione opera di diritto, pertanto il provvedimento del giudice ha natura dichiarativa e non costitutiva della sospensione del corso della prescrizione, con l’effetto che la sospensione deve ritenersi operante anche in assenza di un provvedimento formale del giudice e, ove il medesimo proroghi la sospensione oltre il termine imposto dalla legge, tale periodo non va computato nel calcolo del termine della prescrizione (ex plurimae Cass. Pen., Sez. III, 19.5.98, in CED Cass., 210954).

La sospensione della prescrizione derivante dalla presentazione di domanda di condono non può essere applicata ai procedimenti aventi ad oggetto opere la cui realizzazione sia proseguita oltre il termine di ultimazione fissato alla data del 31.3.03. 

La data di ultimazione delle opere costituisce uno dei presupposti sia per la sanatoria, sia per la sospensione dei procedimenti penali; con la conseguenza che se detto presupposto risulti inesistente, o comunque revocato in dubbio dall’Autorità Giudiziaria penale, non solo non può essere applicata la sanatoria, ma non può neppur ritenersi sospeso il procedimento penale e la relativa prescrizione. 

Così se risulta dagli atti di un procedimento sospeso che le opere siano proseguite oltre il termine previsto e il giudice abbia ugualmente disposto la sospensione del processo, non potrà ritenersi operante la sospensione della prescrizione per carenza di presupposti e, qualora siano decorsi i termini prescrizionali, il reato deve considerarsi estinto (Cass. Pen. Sez. Un., 24.11.1999, n. 22, in Riv. Giur. Ambiente, 2002, 2, 308).

7.4 Sospensione della prescrizione a seguito di domanda in sanatoria ai sensi dell’art. 36 TUE

L’art. 45, co. 1°,  TUE prevede che qualora venga richiesto permesso in sanatoria ai sensi dell’art. 36 (ex art. 13 l. n. 47/1985; c.d. accertamento di conformità) “l’azione penale rimane sospesa fino all’esaurimento dei procedimenti amministrativi di sanatoria”. In questo caso la sospensione è limitata al tempo entro cui gli organi comunali devono decidere sulla domanda ex art. 36; tale decisione che può manifestarsi, come noto, anche nella forma tacita del silenzio-rigetto prevista dal 3 comma dell’art. 36 (60 giorni): se la decisione non interviene entro 60 giorni dalla richiesta quest’ultima deve intendersi rigettata. 

In tema di violazioni edilizie, la Suprema Corte ha rilevato come  la sospensione dell’azione penale disposta dal giudice, che si ricollega alla richiesta di concessione in sanatoria, può durare per il periodo di sessanta giorni previsto dall’art. 13 della l. n. 47 del 1985 [ attuale 36 TUE] per il formarsi del silenzio rifiuto. (Nella specie la S.C. ha dichiarato la prescrizione del reato edilizio, non ritenendo computabile la sospensione effettuata dal pretore in misura eccedente quella obbligatoria ex art. 13 l. n. 47 del 1985, e non potendosi qualificare come sospensione facoltativa, in assenza delle condizioni previste dagli art. 3 e 479 c.p.p.)” (Cassazione penale, sez. III, 26 gennaio 1999, n. 2220, in Cass. pen., 1999, 3555). 

La Corte Cost. con sentenza n. 370 del 31.3.1988 ha, inoltre, affermato che la sospensione del procedimento penale e dei termini di prescrizione opera “soltanto fino al termine del procedimento amministrativo in sanatoria”; è stata espressamente esclusa la possibilità di protrarre tale sospensione e ricomprendere in essa gli eventuali gradi dei procedimenti giurisdizionali amministrativi instaurati a seguito del diniego in sanatoria.

Lo stesso principio è stato ribadito dalla Consulta nell’ordinanza n. 247/’00, con la quale la Corte ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., dell’art. 13 (attuale 36 TUE)  22 l. n. 47/85 (attuale 45 TUE), nella parte in cui non prevede l’estensione della sospensione dell’azione penale fino alla definizione dell’eventuale procedimento giurisdizionale originato dal ricorso avverso il diniego della concessione edilizia in sanatoria. Nella stessa ordinanza la Corte ha rilevato come:

  1. Sia attribuita al giudice penale la possibilità, e non l’obbligo, di sospendere il processo penale anche in pendenza davanti al giudice amministrativo (ricorso al TAR o al Consiglio di Stato) di un procedimento instaurato a seguito del diniego di rilascio di concessione in sanatoria, ove ricorrano le condizioni previste dall’art. 479 c.p.p.;
  1. il giudice penale può esercitare tutti i poteri processuali relativi alla cadenza del procedimento, fino all’applicazione della sospensione del dibattimento ex art. 479 c.p.p. con effetti sospensivi del corso della prescrizione.

L’art. 45 TUE stabilisce testualmente che “l’azione penale relativa alle violazioni edilizie rimane sospesa finché non siano stati esauriti i procedimenti amministrativi di sanatoria di cui all’articolo 36”. 

Dall’interpretazione letterale di tale norma si evince come la sospensione non operi nella fase delle indagini preliminari; potrà procedersi, pertanto, ad incidente probatorio e potrà essere disposto sia il sequestro probatorio (art. 253 c.p.p.) che quello preventivo (art. 321 c.p.p.). 

La sospensione è riferita specificamene all’azione penale, e nella fase delle indagini preliminari, come noto, non v’è ancora esercizio dell’azione penale (Cass. Pen., Sez. III, 3.3.1993, in Riv. Giur. Edilizia, 1994, I, 211;  FIALE, Diritto Urbanistico, p. 973, ed. Simone, 2006).

Il giudice nell’emanare il provvedimento sospensivo dell’azione penale deve preliminarmente accertare l’effettiva sussistenza dei presupposti necessari per il conseguimento della concessione in sanatoria. Sul punto la giurisprudenza ha rilevato come “il giudice penale può accertare, in via incidentale, la sussistenza delle condizioni richieste dalla legge per procedere alla sospensione del procedimento, prevista dall’art. 22 legge n. 47 del 1985” (ex plurimae Cass. Pen., Sez. III, 21 febbraio 1990, in Riv. giur. edilizia 1991, I,1187).

La giurisprudenza ha rilevato come “la sospensione del procedimento penale prevista dall’art. 22 legge n. 47 del 1985 è direttamente imposta dalla legge e dura per il tempo stabilito dagli art. 13 comma 2, e 22 legge n. 47 del 1985, e cioè per sessanta giorni dalla richiesta in applicazione di detti principi, pertanto, non rileva un periodo di sospensione superiore a quello fissato dalla legge ai fini della prescrizione, che inizia a decorrere trascorsi i sessanta giorni” (Cass. Pen., Sez. Un., 7 aprile 1992, in Riv. giur. Edilizia, 1992, I,757).

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