RIFORMA CARTABIA
Le indagini preliminari
In attuazione della legge delega è stato modificato l’art. 335 c.p.p., norma che definisce i requisiti oggettivi e soggettivi della notitia criminis, al fine di evitare un duplice rischio:
- iscrivere notizie di reato generiche o soggetti raggiunti da meri sospetti;
- richiedere, ai fini dell’iscrizione, requisiti troppo stringenti.
Attraverso la modifica dell’art. 335 c.p.p., comma 1, nonché l’introduzione dei successivi commi 1-bis e 1-ter, vengono individuati, per un verso, i presupposti per l’iscrizione nel registro delle notizie di reato e, per altro verso, i requisiti necessari per l’iscrizione del nominativo della persona alla quale la notizia stessa debba essere attribuita.
Con riferimento al profilo oggettivo, la notizia di reato è stata definita quale rappresentazione di un fatto caratterizzato da determinatezza e non inverosimiglianza e riconducibile in ipotesi ad una fattispecie incriminatrice. Le circostanze di tempo e di luogo del fatto non risultano indispensabili ai fini della determinatezza, in quanto indicate solo ove risultino.
Quanto al profilo soggettivo, la norma richiede la sussistenza di indizi a suo carico ai fini dell’iscrizione del nominativo, non essendo così sufficienti i meri sospetti.
L’ordine di iscrizione ex officio
La legge delega amplia il meccanismo che il codice di rito già prevedeva all’interno dell’art. 415 c.p.p. Infatti, qualora il PM non abbia provveduto all’iscrizione del nominativo nel registro delle notizie di reato, il GIP potrà ordinarne l’iscrizione. Pertanto, viene esteso il precetto lungo due direzioni:
- da un lato, a differenza di quanto era previsto nell’art. 445 c.p.p., il giudice potrà emettere l’ordine tutte le volte che il suo intervento sia sollecitato (si pensi ad una richiesta di intercettazione);
- dall’altro, la disposizione diventa applicabile anche nei procedimenti contro indagati noti, consentendo così al giudice di individuare ulteriori persone da iscrivere nel registro, oltre a quelle che già vi figurano.
È importante precisare che solo al PM è riservato l’esercizio dell’azione penale; pertanto, il giudice dovrà sentire quest’ultimo qualora voglia procedere all’ordine. Il decreto del giudice avrà dunque riguardo al nominativo della persona da iscrivere, ma non alla data in cui l’iscrizione sarebbe dovuta avvenire e se l’interessato ritenesse che la data individuata dal PM non fosse corretta, potrebbe innescare il meccanismo di controllo ai sensi dell’art. 335-quater.
La retrodatazione su istanza di parte
La legge delega introduce l’art. 335-quater c.p.p., in base al quale la persona sottoposta alle indagini potrà accertare la tempestività dell’iscrizione di cui all’art. 335 c.p.p. della notizia di reato che la riguardi nonché del suo nome, potendo, inoltre, chiederne la retrodatazione in caso di ingiustificato ed inequivocabile ritardo. La norma richiede, a pena di inammissibilità, le indicazioni circa le ragioni che sorreggono tale richiesta nonché gli atti del procedimento dai quali è desunto il ritardo.
Il termine entro il quale poter effettuare tale richiesta di accertamento è di 20 giorni decorrenti dalla data in cui l’interessato ha avuto facoltà di prendere conoscenza degli atti che dimostrino il ritardo dell’iscrizione.
La neutralizzazione extra-penale degli effetti in malam partem
Uno dei profili più innovativi della riforma attiene all’art. 335-bis c.p.p., il quale prevede che la mera iscrizione del nome della persona nel registro di cui all’art. 335 c.p.p. non determini effetti pregiudizievoli sul piano civile e amministrativo, circoscrivendo così al procedimento penale la rilevanza della valutazione compiuta dal PM nel momento dell’iscrizione.
Tuttavia, vi sono dei casi in cui il codice prevede degli effetti pregiudizievoli per gli indagati di alcuni reati (si pensi all’art. 463-bis c.c.); ebbene in questi casi interverrà l’art. 110-quater delle disposizioni di attuazione, il quale ancora l’emanazione di tali effetti pregiudizievoli alle ipotesi di misura cautelare personale o di esercizio dell’azione penale.
Durata delle indagini preliminari
In base al nuovo testo dell’art. 405 comma 2 c.p.p., i termini a disposizione del Pubblico Ministero per svolgere le indagini in seguito all’iscrizione del nominativo dell’indagato nel registro delle notizie di reato sono di sei mesi per i reati contravvenzionali e di un anno per i delitti, salvo i delitti (di maggiore gravità/rilevanza) previsti dall’art. 407, comma 2, c.p.p., per i quali il termine cd. iniziale di indagine è di un anno e mezzo.
La novità più importante in questo ambito è costituita, per la verità, dalla riforma del regime delle proroghe di indagine. Infatti, nel sistema pre-vigente una delle principali ragioni di ingiustificata dilazione dei tempi di durata delle indagini era senza dubbio costituita dalla facoltà riconosciuta al P.M. di ricorrere ad una pluralità di proroghe, spesso “giustificate” da formulette di stile (presunta “impossibilità” di concludere le indagini nei termini ordinari; sussistenza di “giusta causa“, etc.) sulle quali, a volere essere onesti, praticamente mai i Giudici per le indagini preliminari (sollecitati ad autorizzare dette proroghe) effettuavano un vaglio critico, disponendo la proroga richiesta sostanzialmente in automatico.
Ancora più importante e significativa è la previsione contenuta nel secondo comma dell’art. 407 c.p.p., in quanto stabilisce che la decisione (in un senso o nell’altro) del P.M. debba intervenire entro tre mesi. Ci si è espressi al condizionale perché il termine in parola appare meramente “ordinatorio“, ossia il mancato rispetto di questo precetto non è assistito da sanzioni processuali, anche se il nuovo art. 415-ter c.p.p. prevede la facoltà, in favore sia dell’indagato che della persona offesa, di assumere iniziative per “ sbloccare “ questa eventuale inerzia.
Archiviazione e ragionevole previsione di condanna
Ulteriore novità è sancita all’interno dell’art. 408 c.p.p., in forza del quale il P.M., all’esito delle indagini, deve chiedere l’archiviazione del procedimento laddove constati che “gli elementi acquisiti nel corso delle indagini non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna” dell’indagato.
La nuova previsione normativa è assai significativa, perché, fino a ieri, il P.M. doveva chiedere l’archiviazione quando riteneva infondata la notizia di reato perché gli elementi acquisiti nel corso delle indagini non erano “idonei a sostenere l’accusa in giudizio”.
Oggi, invece, il P.M. deve chiedere l’archiviazione se non ritiene che tali elementi comportino una “ragionevole previsione di condanna“ dell’indagato.
L’esclusione della notifica alla persona offesa nel caso di remissione della querela
Il comma 2 dell’art. 408 c.p.p., al fine di eliminare un adempimento superfluo, esclude l’obbligo di notificazione dell’avviso della richiesta di archiviazione alla persona offesa che abbia rimesso la querela.
Al contrario, laddove non venisse rimessa la querela, l’avviso della richiesta alla persona offesa avverrà a cura del PM qualora la persona offesa abbia dichiarato di volere essere informata circa l’eventuale archiviazione.
Riapertura delle indagini
La legge delega prevede criteri più stringenti ai fini dell’adozione del decreto di riapertura delle indagini di cui all’art. 414 c.p.p.
Infatti, a seguito dell’archiviazione il giudice autorizza la riapertura delle indagini su richiesta del PM motivata dalle esigenze di nuove investigazioni.
Occorre, ai fini della riapertura delle indagini, che le nuove fonti di prova, da sole o unitamente a quelle già acquisite, possano ragionevolmente determinare l’esercizio dell’azione penale.
Una volta riaperte le indagini il PM dovrà procedere a nuova iscrizione ai sensi dell’art. 335 c.p.p.
Inoltre, gli atti di indagine compiuti in assenza di un provvedimento di riapertura del giudice sono inutilizzabili.
Rimedi alla stasi del procedimento
Il legislatore delegato ha previsto una serie di novità volte a scongiurare la stasi del procedimento nella fase delle indagini preliminari. Lo scopo è quello di garantire tempi certi e ragionevoli nella definizione del procedimento, assicurare efficienza al sistema e, allo stesso tempo, perseguire l’intento deflattivo attraverso un controllo del giudice per le indagini preliminari sull’attività di indagine del pubblico ministero. L’obiettivo appare in linea con lo spirito della riforma; tuttavia, la disciplina, definita soltanto nelle finalità, presenta aspetti critici di non poco momento.
La lett. g della legge delega impone l’introduzione di una disciplina che, «in ogni caso, rimedi alla stasi del procedimento mediante un intervento del giudice delle indagini preliminari».
Analogamente, la lett. h stabilisce che si prevedano analoghi rimedi alla stasi del procedimento qualora, dopo la notificazione dell’avviso di conclusione delle indagini, il pubblico ministero non assuma tempestivamente le determinazioni in ordine all’esercizio dell’azione penale.
Non sembra ipotizzabile una stasi del procedimento fino a quando non siano decorsi i termini delle indagini preliminari, e nemmeno qualora il pubblico ministero chieda e ottenga la proroga delle indagini: per “stasi” del procedimento deve intendersi, verosimilmente, la mancata assunzione di determinazioni da parte del PM qualora siano decorsi, con o senza proroga, i termini delle indagini preliminari e l’ulteriore «pausa di riflessione» di cui alla lett. e del comma 9 dell’art. 1, che corrisponde all’attuale formulazione dell’art. 407, comma 3-bis, c.p.p.
Il termine di riflessione
Il legislatore ha abrogato due norme- gli art. 405 e 407 c.p.p.- al fine di riscriverli ed introdurre il termine di riflessione nell’art. 407-bis c.p.p.
Si è ritenuto opportuno collocare la relativa previsione nell’ambito di un’apposita disposizione di nuovo conio (art. 407 bis) che, oltre a riprodurre testualmente la rubrica dell’originario articolo 405 (“Inizio dell’azione penale. Forme e termini”) e il suo comma 1 (aggiornandolo nel solo richiamo anche al Titolo V-bis del Libro VI, in tema di messa alla prova), prevede al comma 2 che «[…] il PM esercita l’azione penale o richiede l’archiviazione entro tre mesi dalla scadenza del termine di cui all’articolo 405, comma 2 o, se ha disposto la notifica dell’avviso della conclusione delle indagini preliminari, entro tre mesi dalla scadenza dei termini di cui all’articolo 415-bis, comma 3 e 4».
Il secondo periodo della disposizione novellata, conformemente alla necessità di modulare la durata del termine «in base alla gravità del reato e alla complessità delle indagini preliminari» (come richiesto dal criterio di delega), la prolunga a nove mesi quando ricorra taluno dei casi di cui all’art. 407, co. 2. Fermo quanto di seguito sarà rilevato in merito alle possibilità di differire la discovery, l’intervento apporta una significativa modifica a quanto attualmente previsto dal comma 3 bis dell’art. 407, che – seppur solo per i reati di cui al comma 2, lettera a), numeri 1), 3) e 4) – prevede un termine pari a 15 mesi.
Avocazione delle indagini da parte del Procuratore generale
L’art. 412 c.p.p. disciplina l’istituto dell’avocazione delle indagini preliminari per mancato esercizio dell’azione penale.
In generale, l’avocazione è il potere dell’organo gerarchicamente superiore (il Procuratore Generale presso la Corte di Appello) di sostituirsi all’organo gerarchicamente inferiore (il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale) nello svolgimento delle funzioni di indagine e di promovimento dell’azione penale, nei casi indicati dalla legge.
La riforma Cartabia ha inciso sull’art. 412 c.p.p., modificandone la disciplina.
Il comma 1 (come modificato dalla riforma Cartabia, d.lgs. n. 150 del 2022) ora prevede una serie di ipotesi di avocazione “facoltativa”. In particolare, il Procuratore Generale presso la Corte di Appello può disporre, con decreto motivato, l’avocazione delle indagini preliminari nei seguenti casi:
- se il PM non ha disposto la notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari
- se il PM non ha esercitato l’azione penale o richiesto l’archiviazione entro i termini previsti dal comma 2 dell’407-bis c.p.p. (ossia, entro tre mesi dalla scadenza dei termini per le indagini ex art. 405, comma 2 c.p.p.), dal comma 5-ter dell’415-bis c.p.p. (i termini previsti in caso di rigetto della richiesta di differimento dell’avviso di conclusione delle indagini da parte del procuratore generale), nonché dal comma 3 dell’415-bis c.p.p. (i termini previsti a seguito del deposito forzoso della documentazione investigativa).
Avviso di conclusione delle indagini preliminari
Nell’art. 415-bis c.p.p. sono stati introdotti i commi 5-bis e 5-ter.
La prima disposizione consente al PM di presentare al procuratore generale una richiesta motivata di differimento della notifica dell’avviso di cui al comma 1 qualora ricorrano le seguenti circostanze:
- quando è stata richiesta l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere o degli arresti domiciliari e il giudice non ha ancora provveduto o quando, fuori dai casi di latitanza, la misura applicata non è stata ancora eseguita:
- quando la conoscenza degli atti d’indagine può concretamente mettere in pericolo la vita o l’incolumità di una persona o la sicurezza dello stato ovvero, nei procedimenti per taluno dei delitti di cui all’art. 407 comma 2, arrecare un concreto pregiudizio, non evitabile attraverso la separazione dei procedimenti o in altro modo, per atti o attività di indagine specificamente individuati, rispetto ai quali non siano scaduti i termini di indagine e che siano diretti all’accertamento dei fatti, all’individuazione o alla cattura dei responsabili o al sequestro di denaro, beni o altre utilità di cui è obbligatoria la confisca.
Il comma 5-ter prevede che entro venti giorni dal deposito della richiesta del pubblico ministero, se ne ricorrono i presupposti, il procuratore generale autorizza con decreto motivato il differimento per il tempo strettamente necessario e, comunque, per un periodo complessivamente non superiore a sei mesi o, se si procede per taluno dei delitti indicati nell’articolo 407, comma 2, non superiore a un anno. In caso contrario, il procuratore generale ordina con decreto motivato al Procuratore della Repubblica di provvedere alla notifica dell’avviso di cui al comma 1 entro un termine non superiore a venti giorni.
E qualora il PM non dovesse rispettare il cd. termine di riflessione, il comma 5-sexies rinvia all’art. 415-ter, che riconosce all’indagato e alla persona offesa la facoltà di accedere agli atti di indagine.
La discovery forzosa e la stasi del procedimento
L’art. 415-bis c.p.p. riconosce all’indagato e alla persona offesa la possibilità di accedere agli atti di indagine qualora il PM non rispetti il cd. termine di riflessione. Infatti, una volta scaduto il termine di riflessione senza aver esercitato l’azione penale, o aver richiesto l’archiviazione, la relazione relativa alle indagini svolte dovrà essere depositata presso la segreteria con riconoscimento della facoltà di esaminarla e di estrarne copia alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa.
Inoltre, a questi ultimi verrà fatto notificare apposito avviso di deposito con cui dovranno essere edotti delle facoltà di cui sopra, nonché dell’ulteriore facoltà di rivolgersi al giudice in caso di stasi del procedimento. Di tale avviso, tra l’altro, è prevista la comunicazione al Procuratore generale presso la corte d’appello, cui è stato affidato un meccanismo di controllo sull’effettività della discovery forzosa.
Quest’ultimo infatti sarà tenuto ad intervenire o disponendo l’avocazione del procedimento ex art. 412 c.p.p., oppure ordinando al procuratore della Repubblica di provvedere al deposito ed alla notifica dell’avviso di deposito qualora non dovesse ricevere la suddetta comunicazione nei dieci giorni successivi alla scadenza del termine di riflessione.
“Alla scadenza dei termini di cui all’articolo 407-bis, comma 2, se il pubblico ministero non ha esercitato l’azione penale, né richiesto l’archiviazione, la persona sottoposta alle indagini e la persona offesa possono chiedere al giudice di ordinare al pubblico ministero di assumere le determinazioni sull’azione penale. Sulla richiesta il giudice provvede, nei venti giorni successivi, con decreto motivato.” Nel caso in cui il PM lasci decorrere infruttuosamente tale termine si applicano il secondo, terzo e quarto periodo del comma 5-quater nonché il comma 5-quinquies dell’art. 415-bis.
Il controllo giurisdizionale sulla legittimità della perquisizione
I decreti legislativi recanti modifiche al codice di procedura penale in materia di controllo giurisdizionale della legittimità della perquisizione sono adottati nel rispetto del seguente principio: prevedere il diritto della persona sottoposta alle indagini e dei soggetti interessati di proporre opposizione dinanzi al GIP laddove, a seguito di perquisizione, non consegua un provvedimento di sequestro.
Infatti, l’art. 252-bis c.p.p. prevede la possibilità per la persona sottoposta alle indagini nonché la persona nei cui confronti la perquisizione è stata disposta o eseguita di proporre opposizione contro il decreto di perquisizione. L’opposizione dovrà essere proposta, a pena di decadenza, entro dieci giorni dalla data di esecuzione del provvedimento o dalla data in cui l’interessato ha avuto conoscenza dell’avvenuta perquisizione. Il giudice accoglie l’opposizione quando accerta che la perquisizione è stata disposta fuori dei casi previsti dalla legge, dovendo quindi ricorrere dei presupposti sostanziali previsti dalla legge per l’effettuazione della perquisizione, in assenza dei quali l’ingerenza nelle libertà del singolo può definirsi “arbitraria”.